Qual è il vero tabù della società moderna?

Quali sono i tabù della società nella quale viviamo? Così come accade per la morale, anche i tabù cambiano se ci spostiamo di latitudine e longitudine; ancora di più se ci spostiamo nel tempo. Disse Fabrizio De André nel suo ultimo concerto del 1998, introducendo il brano La città vecchia, che nel medioevo venivano universalizzati dei valori che oggi apparirebbero inaccettabili, lo stesso discorso si potrebbe fare parlando dei tabù.

Già prendendo in considerazione il sesso vediamo come fosse tabù nella società medievale fino ad arrivare agli anni Sessanta del secolo scorso (quando venne “spezzato” dalla rivoluzione culturale dei figli dei fiori), ma non lo fosse ad esempio per la civiltà Romana. Si pensi al ruolo chiave avuto dalla Chiesa in questo frangente se è vero che tutti gli amuleti apotropaici conosciuti oggi, come i corni portafortuna, altro non fossero,l prima del medioevo, che simboli fallici.

Nonostante non lo si viva come duemila anni fa non possiamo più parlare di esso come uno degli argomenti messi al bando dalla nostra società. Piuttosto le vicende di questo inizio 2020 hanno messo a nudo quale sia il vero tabù dell’uomo moderno: la morte. Quella morte che, scriveva Luigi Pirandello ne I vecchi e i giovani (1909), «è sempre accanto a noi, giovani, vecchi, bambini, e sempre pronta a ghermirci da un momento all’altro». Tuttavia oggi cerchiamo di convincerci (complice la società capitalista e la sua idea di crescita infinita) che non sia così e ciò, con il tempo, contribuisce ad impoverire la nostra anima e, di conseguenza, le relazioni interpersonali ed il rapporto con l’altro in generale. Ecco allora che un naufragio al largo di Lampedusa ci permette di esultare sui social network, sì perché altrimenti “quelli” sarebbero arrivati nel “nostro” paese a  rubarci il lavoro; ecco che la notizia di un omosessuale picchiato in quanto tale non ci riguarda e preferiamo voltare la faccia dall’altra parte; ecco perché si arriva finanche a mettere in dubbio l’esistenza della Shoah.

È lo stesso concetto che lo scrittore Carlo Levi spiegava senza troppe perifrasi nel suo romanzo Cristo si è fermato a Eboli (1945). Per l’autore i fascisti radunatisi nella piazza avevano dimenticato la morte. Lo scrittore non sta dalla parte di quegli uomini che decantavano la prossima guerra d’Africa, ma si schiera con il mondo delle piccole cose, dei semplici gesti: il mondo contadino che vive alla giornata e che la morte la conosce bene. Voltando la faccia alla morte quindi, si volta faccia alla vita stessa.

Ecco però che arriva il COVID19 e allora, ironia della sorte, capiamo di non essere riusciti a fuggire da nessuna parte, perché la morte è sempre lì, silenziosa, a fianco a noi, pronta a ghermire e, chissà, forse a ricordarci di essere tutti umani. Anche a quelli che, primi a puntare il dito contro il prossimo, sono stati i primi a fuggire dal nord come animali impauriti.